Settima puntata: riconciliazione con Luigi Martelli
Riconciliazione con Luigi Martelli.
[Una delle feste in discoteca con tutti i dipendenti. Luigi Martelli, io a sx, Filippo a dx.]
La mia riconciliazione con Luigi Martelli dopo l’asta ed il passaggio di proprietà del Gruppo Martelli.
Estate del 2016 nel contesto di un’Asta fallimentare dove è appena stata venduta la
controllante italiana dell’azienda estera che io dirigevo da 15 anni.
Fino a pochi
giorni prima avevo cercato anche io di partecipare a questa asta per rilevare la
“mia” azienda e, avevo perso.
Nonostante il gran
lavoro per trovare i finanziamenti ed organizzare il complesso schema
finanziario, e mentre continuavo -assieme a Filippo- a gestire l’azienda con i suoi 700 dipendenti, era appena accaduto che l’intero Gruppo venisse assegnato ad una cordata di
aziende concorrenti.
Poteva certamente essere un esito della procedura, persino in Italia funziona che vince chi offre di più e tanti saluti. Nulla da obiettare su questo.
Mi seccava aver perso così, come fosse stata una gara “a tavolino”, senza potercela giocare. Senza la vera e propria asta e l’incanto per capirci. [leggere qui Quinta puntata MLT].
Il nostro alleato
nell’offerta congiunta, gettò la spugna pochi giorni prima dell’asta,
senza neanche sentirsi in dovere di dirci qualcosa tipo: “abbiamo scherzato
non prendetevela”.
Rimasi stupefatto
dal comportamento di Luigi Martelli, in quanto era persona che stimavo da sempre e con cui c’era un accordo sul quale ci eravamo basati per il
Management Buy Out. Il concept sui cui avevano lavorato tutti gli Advisors consisteva
nel fatto che Filippo ed io avremmo offerto per il Gruppo il 70% circa della
base d’asta e lui con i suoi partners il 30%. Qualcuno ci disse che eravamo
stati usati. Chissà.
Ho già scritto che avevamo
amaramente riso con Filippo ed ora restavo io e la mia amarezza.
Per quasi due
anni non sentii e non vidi Luigi Martelli.
Essendo
questo il finale del feuilletton a puntate, debbo raccontare il lato umano della nostra
vicenda e di come poi ci riconciliammo.
Nel farlo non potrò omettere di descrivere alcuni tratti di carattere ed il contesto della nostra
relazione umana. Così come li vedevo e li ho vissuti.
Parliamo certo di un
rapporto professionale, però del tutto inconsueto; per anni e a cicli
di settimane intere, dalla mattina alla sera abbiamo vissuto a stretto
contatto, abitando in azienda, così accadde.
Ultimamente ho ricollegato che dopo la scomparsa di mio padre nel 2005, potrei
aver iniziato a guardare a Luigi Martelli come a una sorta di punto di riferimento.
Se passavamo
molto tempo assieme, debbo menzionare dove mi collocavo: la mia stima e il mio
affetto per Luigi Martelli furono sempre genuini, quindi mai legati a vantaggi
materiali o benefici particolari. L’unico dono ricevuto in tanti anni fu un
accendino Bic rivestito di tessuto jeans.
Quando si dice
che “non potevi non volergli bene”, sono d’accordo ma occorre tener
conto a cosa ci si riferisce. Non ho mai fatto parte dei “miracolati” dalla prodigalità di Martelli. Ed
intendo:
- persone salvate da lui in extremis da
fallimenti imminenti o dall’iscrizione al “Registro dei protesti”;
- coloro che ricevettero da lui doni e utilità
significative (tralasciando la regalistica aziendale, troppo banale per
essere menzionata);
- i cosiddetti “fenomeni” che approdavano al
Gruppo MLT e che, nostro malgrado come dipendenti, ci trovavamo a dover
accogliere o assistere, spesso erano venditori di fumo provenienti da
altre realtà;
- persone a cui Martelli aveva abbuonato crediti.
Questa a grandi
linee come prima sintesi di miracolati. Spero esista anche qualcuno che dopo
esser stato aiutato si sia poi sdebitato, la statistica mi porterebbe a pensare
di sì.
Non vanno invece
inclusi nei miracolati i falsi amici — piaga ubiquitaria di ogni imprenditore,
almeno finché girano i soldi — e neppure i manipoli di clienti (o sedicenti clienti) che si presentavano puntualmente all’ora di pranzo a Toscanella di Dozza
e che Martelli trascinava con sé al ristorante Willy. Neanche, infine, quelli
che lui stesso chiamava “topi”.
Eppure, superata questa selezione (e sono centinaia), continua a sorprendermi la consistenza del codazzo. I suoi miracolati, stimo arrivassero comunque a contare decine e decine di persone.
Nei primi anni
della mia conoscenza con lui, vivendo a stretto contatto, mi sentivo estraneo a
quel mondo di miracolati, che non conoscevo davvero. A prima vista, ciò che
coglievo erano soltanto le attenzioni e le premure che il mio capo riservava loro.
Poi, man mano che
pranzavamo e cenavamo insieme centinaia di volte, ed ascoltando i suoi racconti
con attenzione, mi trovai quasi senza volerlo a mettere in fila i gustosi
aneddoti di lavoro che condivideva in momenti diversi. Affascinato, a volte non
resistevo e gli ponevo qualche domanda per capire meglio.
Così, più lo
conoscevo, più imparavo a conoscere anche i 'Miracolati'. Accadde un giorno, per caso, che mentre gli passavo in mano biscotti danesi che lui poi offriva al cane
Omar, iniziai a sovrapporre le 'coccole' e premure verso il cane a quelle che
riservava ai suoi “Miracolati”. Ecco che in quel momento le coccole mi parvero non semplici
attenzioni, ma gesti di compassione disincantata, intrisi di un sottile senso
di controllo. E se dal cane Martelli si aspettava e riceveva affetto, dagli
uomini non credo si aspettasse granché in cambio.
Quando raccontava aneddoti era perché venivano fuori da discorsi più ampi e spesso di
lavoro e in bolognese. Mai lo sentii parlare alterato dai comportamenti opportunistici dei
vari “Miracolati”. Si badi, non che non li cogliesse al volo, ma semplicemente lasciava
correre. Questa la sua grandezza.
Era pragmatico,
per niente calcolatore. Io ho costantemente visto tutto ciò come
espressione di nobiltà d’animo e autentica virtù cristiana. Se ogni
eccesso è un vizio, il suo era quello della bontà - insieme a quello -
inossidabile, del sigaro toscano.
Gran parte dei miracolati —
protestati, debitori ecc. — non mi riguardavano per nulla ed erano fatti suoi. Li ho qui menzionati per illustrare perché io fossi affascinato da questa
brava persona. Invece i nostri carissimi “fenomeni”, cioè
i venditori di fumo, mio malgrado me li ritrovavo ad impattare sull’azienda.
Per comprenderli e arginarli più
in fretta, sarebbe bastato soffermarsi tutti su alcuni segnali iniziali: ad esempio i
festeggiamenti sfrenati e i sospiri di sollievo nelle aziende cedenti. Ma in
MLT non c’era spazio per dubbi o ripensamenti: il nuovo acquisto, all’inizio,
era sovrano intoccabile, salvo poi rivelarsi lentamente per quello che era, un
venditore di fumo. Una versione moderna del racconto “Re Travicello” di Fedro.
Accadeva così che, nei primi tempi, bisognava tollerare di tutto dai Fenomeni: le piccinerie, i capricci da primadonna, fino alle idee più strampalate. Non mancavano neppure le crisi isteriche, sulle quali si sorvolava con nonchalance. I colleghi mormoravano: “Non è che il nuovo tipo è un po’ strano?”, qualcuno rideva, altri si mettevano le mani nei capelli. Ma pochi avevano il coraggio di esporsi con i vertici aziendali. Se provavi a puntualizzare, od a non lasciar correre su plateali incoerenze del Fenomeno di turno — e persino se mostravi e-mail assurde nero su bianco — il tutto veniva automaticamente archiviato come fatto personale: “A ce l’ha con B” o “B sta sui maròni ad A”.
Successivamente, come gli allarmi causati dal “Fenomeno” iniziavano a provenire dall’esterno dell’azienda e dai clienti, sorpresa! Ecco che accadeva l’impossibile. No, niente traumi ma partiva una crescente tiepidezza e una impercettibile presa di distanze dal fenomeno venditore di fumo. Qualche battutina, per poi passare all’unanime definizione di “Fenomeno” ed alla fine era il classico: “Ah ma si sapeva…” mentre era esclusa l’ammissione dell’errore.
Nel “calciomercato” di MLT, ogni
tanto ci venivano rifilati veri e propri bidoni raccomandati. Eppure non sarei così
sicuro che sarebbe andata meglio se l’azienda fosse finita
nelle mani di qualche agenzia di selezione di amici degli amici, come spesso usa in provincia. Quelle col tipetto pratico, tuttologo–investigatore che tende a strafare. Chissà
cos’altro avremmo visto.
Queste esperienze mi hanno
convinto che la gestione aziendale dei “Fenomeni” richiede due cose: svicolare su
raccomandati già in fase di selezione, e — se malauguratamente assunti da altri
— gestirli con fermezza. Tanto più che durante il periodo di prova sanno
recitare benissimo: è lì che sono fenomeni autentici.
Nel gergo HR esiste persino un
termine per definirli: “mostri”. Non è farina del mio sacco, ma un
concetto che compare in letteratura manageriale [1].
Indica quelle figure tossiche che, in assenza di chiari perimetri di governance
e accountability, prosperano fino a divorare energie e risorse.
Il punto cruciale, in qualsiasi
organizzazione, è dunque evitare di importare o alimentare simili “mostri”. Ma
in un Paese, dove lo scambio di favori è la regola, non sorprende il trovarsi a
dover gestire l’incapace-casinaro. Da qui l’importanza di lavorare ogni giorno
anche per impedire che si creino le condizioni favorevoli alla loro
proliferazione o alla trasformazione in conigli-mannari. Una buona organizzazione serve
esattamente correggere e mitigare comportamenti dannosi e immaturi.
Questo in MLT si gestiva con un
po’ di fatica: va detto che ogni stabilimento aveva un suo clima, e nel
complesso l’ambiente non era proprio cattivo. Si trovava sì improvvisazione, e talvolta
invidia, ma non deliberata cattiveria organizzativa, non poteva essere. Se di tanto in tanto
compariva pure lo psicopatico funzionale, era per faciloneria: magari l’impostore
si era presentato come personaggio “coi maròni”, diciamo un “mezzo Rambo”
risoluto, che parlava il dialetto giusto. E tanto bastava, incredibilmente, a
convincere.
A posteriori mi domando non fosse mai
che qualcuno, più che per faciloneria, tatticamente avallasse l’ottimismo martelliano, fintanto che non
minacciava la propria sfera di interesse. Solo come ipotesi che potrebbe spiegare quel riempire
caselle vuote con Fenomeni, parallelamente ad alcune carriere che furono silenziosamente smistate in binari morti.
In un blog sul declino
organizzativo come questo, il focus va per forza alla decadenza e a ciò che non
funzionava. C’erano anche parti positive e per completezza, vanno ricordate molte
persone valide e professionali, che si svilupparono con la Martelli Lavorazioni
Tessili, sia come dipendenti, che come fornitori ed anche tecnici di
trattamenti dei nostri clienti, siamo tutti cresciuti assieme. Stakeholders
importanti, professionisti bravi: fortunatamente numerosi, anche se meno
visibili e meno divertenti da raccontare con ironia.
Va dato atto a Luigi Martelli di
aver creato un volano virtuoso per il settore. Senza il suo ottimismo a fondo
perduto, la nicchia delle tintorie, lavanderie e del finissaggio capi, sarebbe
rimasta scialba. Senza di lui e i suoi guizzi brillanti, non so immaginare che
clima aziendale avremmo avuto.
In altra occasione ho avuto modo
di parlare dell’imprenditore, mentre qui ho scritto dell’uomo come l’ho
conosciuto io. E penso così di aver spiegato perché gli volevo bene, come pure perché fossi così amareggiato di aver mancato l’asta di luglio 2016. Debbo dire che, persino in
quel frangente doloroso era comunque una persona che mi piaceva: non venale e capace di
tollerare imperturbabile la sua corte dei “miracolati”.
Queste in
sintesi, sono le radici del rapporto umano profondo che non poteva non portare
alla successiva riconciliazione.
Non l’ho mai
chiesto, ma immagino fu Luigi Martelli a ricontattare telefonicamente Filippo
Sassi dopo la vicenda della rinuncia all’Asta del Tribunale.
Debbo dire che
anche Filippo è unico. Lui ed io non riuscivamo a dire di no a Martelli questo
ci accomuna, ma francamente Filippo si è sacrificato molto più di me, foss’anche
solamente per il doppio degli anni trascorsi con Luigi Martelli, sicuramente ha avuto un
rapporto ancora più stretto, nato quando l’azienda era nei fatti come una
famiglia.
Dicevamo che lo
avrà chiamato al cellulare, mi pare come di sentirli.
Per quanto
riguarda me, in quel periodo non riuscivo a telefonare al mio ex capo ma
stranamente non provavo neanche reale rancore. Ad ogni modo, avevo sue notizie
appunto da Filippo Sassi che mi aggiornava.
Passati alcuni
mesi dal luglio famoso, iniziai a mandargli i miei saluti tramite Filippo, poi,
dopo un ulteriore anno, forse fine 2017 o inizio ‘18 finalmente lo chiamai
al cellulare, conosco ancora a memoria il suo numero.
Ricordo perfettamente la telefonata, fu contentissimo, la voce molto sorpresa e serena, entrambi molto emozionati. Mi chiese della famiglia, della salute, delle novità poi per uscire dall’impasse dell’emozione, ci mettemmo a parlare di lavoro, del settore, delle prospettive del tessile. Non citai mai nulla del passato e dell’Asta, neanche nelle successive telefonate che gli facevo ad intervalli regolari e alle Feste, inclusa l’ultima a Natale 2024, pochi giorni prima della sua scomparsa.
Nel frattempo, ero
rientrato a lavorare in Italia, poco prima della
pandemia.
Quando ormai
avevo già ripreso i contatti regolari con Luigi Martelli, ogni tanto lo
invitavo a visitare assieme le tintorie in fiocco-rocca-matassa del distretto
lana dove dirigevo un’azienda.
Fu così che dopo
la pandemia, un giorno di ottobre mi prendo una giornata di ferie e vado con
Filippo Sassi e Vanes Ferretti a trovare Martelli a casa sua per pranzo.
Abitava sopra la “ex Martelli Lavorazioni Tessili” di Toscanella di Dozza.
La salute di
Luigi Martelli non era così buona da qualche anno, però quel giorno era in forma.
Fu una bellissima
giornata ed anche l'ultima volta che lo vidi, mi dispiace non aver fatto una
foto assieme.
Porto con me il ricordo e fascino che una personalità così unica esercita ancora su di me, con anche il privilegio di aver potuto passare tanto tempo assieme.
Cercherò di imparare a
non fare più caso alle ingratitudini e, anzi, di infischiarmene come faceva lui.
Mauro Maria Angelini
Questo racconto personale a
puntate, ha voluto illustrare quanto contasse la Martelli Europe all’interno
del Gruppo. Ho raccontato la nostra storia. Sarebbe bello dare risalto ai tanti colleghi, includendo le
società del Gruppo, il mio pensiero va tutte le persone il cui lavoro ed apporto - come nel nostro caso- fu minimizzato: prima, durante e pure dopo.
Mi è costato un po’ di fatica parlare di fatti miei privati perché non è mia abitudine, non ho social networks a parte Linkedin. Non per caso sono trascorsi 9 anni dai fatti.
Ho
ricevuto molti apprezzamenti per questo diario, volto ad essere voce ulteriore allo
storytelling insincero. Qualcuno doveva scriverne dopo la scomparsa
dell’azienda e ora del suo fondatore.
[1]
https://www.forbes.com/sites/jmaureenhenderson/2014/11/05/weve-created-a-monster-toxic-employees-arent-born-theyre-made/
https://www.hrci.org/community/blogs-and-announcements/hr-leads-business-blog/hr-leads-business/2022/02/14/are-monsters-hiding-in-your-organization